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Occhi nel bosco: un progetto di scuola all’aperto per scoprire la vita segreta degli animali

    La giornata era limpida e luminosa, una di quelle mattine di fine primavera in cui l’aria profuma di erba e di terra bagnata. Gli studenti della classe seconda della scuola media di Monteluce stavano per vivere un’esperienza insolita: una lezione di scienze nel bosco, accompagnati da una fototrappola. Il progetto, intitolato “Occhi nel bosco”, nasceva dall’idea di unire l’educazione ambientale con la curiosità per la tecnologia, offrendo ai ragazzi la possibilità di conoscere la fauna locale in modo diretto e coinvolgente.
    L’attività era iniziata alcune settimane prima in classe. L’insegnante di scienze, la professoressa Rinaldi, aveva introdotto il tema della biodiversità spiegando come gli animali selvatici vivono accanto a noi, spesso senza che ce ne accorgiamo. Poi aveva mostrato una foto-trappola, un piccolo dispositivo capace di scattare foto o registrare video quando qualcosa si muove davanti al suo obiettivo.
    “Con questo strumento possiamo osservare la natura senza disturbarla,” aveva spiegato, “e scoprire chi abita i boschi vicino a noi.”
    Dopo aver studiato come funziona il sensore di movimento e come impostare la macchina fotografica, i ragazzi avevano preparato un vero piano di lavoro. Avevano analizzato le mappe del territorio, individuato i sentieri meno frequentati e scelto tre punti diversi dove posizionare le fototrappole: vicino a un piccolo ruscello, accanto a una radura e ai margini di un vecchio castagneto. Ogni gruppo aveva un compito: montare il dispositivo, annotare le coordinate e raccogliere le osservazioni sul campo.
    Durante le escursioni, il bosco diventava un’aula vivente. Gli studenti imparavano a riconoscere le tracce degli animali – impronte nel fango, piume, escrementi, piccoli resti di cibo – e a leggere i segni della natura come indizi di una storia più grande. Alcuni avevano portato quaderni e matite per disegnare piante e insetti, altri si erano occupati di registrare i suoni ambientali con i loro telefoni. L’atmosfera era di entusiasmo e scoperta: la scuola non era più un luogo chiuso, ma uno spazio aperto dove imparare con tutti i sensi.
    Dopo una settimana, era arrivato il momento di recuperare le fototrappole. Il gruppo si era riunito nella biblioteca della scuola, trasformata per l’occasione in un piccolo laboratorio di ricerca. Tutti erano impazienti di vedere i risultati. Le prime immagini non mostravano molto: qualche uccello, un gatto randagio, un ramo mosso dal vento. Poi, improvvisamente, sullo schermo era apparso un tasso. Aveva attraversato la radura di notte, con passo lento e curioso. Un altro video mostrava un capriolo che si abbeverava al ruscello all’alba, mentre in un terzo si vedeva un gufo che spiccava il volo in silenzio. I ragazzi erano rimasti a bocca aperta. Quelle immagini, semplici ma autentiche, avevano un valore enorme: rappresentavano un contatto reale con la vita selvatica del loro territorio.
    Nei giorni successivi, la classe aveva lavorato per analizzare i dati raccolti. Ogni gruppo aveva descritto le specie osservate, confrontandole con le informazioni dei manuali e dei siti naturalistici. Alcuni avevano calcolato la frequenza delle apparizioni, altri avevano elaborato grafici e tabelle per individuare gli orari più attivi degli animali. Ma il lavoro non si era fermato alla parte scientifica. L’insegnante di italiano aveva proposto di scrivere brevi racconti ispirati alle immagini: storie dal punto di vista del tasso o del capriolo, piccoli diari immaginari della vita notturna nel bosco.
    La fototrappola o videocamera automatica , così, era diventata non solo uno strumento di osservazione, ma anche una fonte di ispirazione. I ragazzi avevano compreso che la tecnologia può servire per conoscere meglio la natura, non solo per intrattenersi.
    L’esperienza aveva insegnato loro il valore dell’attesa, della pazienza e del rispetto: tre qualità che raramente trovano spazio nella quotidianità digitale. Avevano scoperto che per osservare un animale non basta accendere un dispositivo, ma bisogna imparare a leggere il territorio, ad ascoltare i silenzi e ad accettare che non tutto si mostra subito.
    Il progetto “Occhi nel bosco” era stato infine presentato durante una giornata aperta alla comunità. I ragazzi avevano allestito una mostra fotografica con le immagini più significative e un breve documentario montato con i video delle fototrappole. Molti visitatori si erano stupiti nel vedere quanti animali popolano i boschi intorno al paese: un mondo che spesso resta invisibile agli occhi distratti.
    L’esperienza aveva lasciato un segno profondo. Alcuni studenti avevano chiesto ai genitori di acquistare una fototrappola per continuare a esplorare i dintorni, altri avevano espresso il desiderio di studiare biologia o scienze ambientali. La professoressa Rinaldi, osservandoli, aveva capito che il suo esperimento didattico era riuscito: non aveva solo insegnato nozioni, ma aveva acceso una curiosità autentica.
    La didattica all’aperto, unita a strumenti come le fototrappole, mostra che imparare non significa soltanto studiare, ma anche vivere esperienze che uniscono conoscenza ed emozione. In un’epoca in cui tutto sembra virtuale, portare gli studenti nel bosco e permettere loro di scoprire la vita segreta della natura può restituire alla scuola la sua funzione più vera: quella di educare allo stupore, al rispetto e alla meraviglia del mondo reale.